E' la legge... Non ci credere!

da: M.S.Galli, “La mia legge è l'Altro”, in: In: “Mediazione & Conciliazione”. Ed. Firera & Liuzzo Publishing, Roma, 2012. 


Giustizia e le legge, in ogni loro manifestazione, resti- tuiscono, come accennavamo nel post precedente ("E' per il tuo bene"), la loro dimensio- ne relativista: culturalmente e storicamente determinata, spesso inficiata da credenze dettate da insipienza o da interessi e, più spesso, da entrambi insieme. 

Ciò dovrebbe risultare assolutamente evidente alla luce della particolare condizione umana.

Potrebbe, infatti, essere diverso? Un'esperienza così profondamente umana come quella della giustizia, può prestarsi ad una interpretazione che non sia socialmente creata, inventata e mediata attraverso l'agire e l'interagire degli uomini, e quindi rispondente a particolarismi, soggettività, convenienze? 

Anche per la giustizia, come per ogni opera della conoscenza, ogni nuova teoria, ogni nuova legge, non è una sorta di progresso che gradualmente si avvicina alla verità, bensì il mutamento di una creazione precedente, che non si può, in tutta sincerità, dire migliore o più vicina alla verità . 

Ciò che dichiara Max Weber per lo scienziato sociale, ossia che l'individuazione di certe cause è sempre il frutto della scelta dello scienziato che, grazie alla sua esperienza, ma anche in relazione ai propri orientamenti, sarà più capace di vedere certi versi causali che non altri, dovrebbe quindi essere esteso a tutto il corpo della conoscenza, compresa quella conoscenza che costituisce il nostro concetto di giustizia. 

L’esercizio del diritto diventa, allora, non la verità, ma quel luogo in cui, per stare con Foucault: “nel corso del tempo si sono prodotte certe forme di verità". 

Insomma, le norme esistono in quanto forme di produzione funzionale all'organizzazione del sapere e del potere di individui storicamente determinati. Sono il risultato di come gli individui si rappresentano, di come strutturano le loro forme di conoscenza e dei sistemi di controllo che necessitano per mantenere un ordine capace di garantire determinate costruzioni sociali. 

Perché l’uomo è un animale capace di adattarsi a qualsiasi condizione, anche la più brutale, ma non sopravvivrebbe ad una condizione a cui non riesce a dare un senso, anche a costo di inventarselo. 

Per questo noi umani ci operiamo costantemente per produrre forme di conoscenza, ossia per dare senso alle cose che facciamo e che viviamo e che, una volta dotate di senso, spesso divengono verità apparentemente inoppugnabili semplicemente perché ne smarriamo la loro origine storico-sociale.

Questo, ahinoi, sembrerebbe essere successo a molte forme di apparente verità che circolano in questa nostra epoca e, tra queste, non è da meno quella apparente verità che chiamiamo giustizia, e con lei tutti i suoi correlati discendenti: legge, comandamenti, dettami, norme, precetti, prescrizione, regole...

Il problema non è, evidentemente, pensare che non debbano esistere regole, poiché di regole necessitiamo per abitare pienamente la nostra umanità "cercatrice di senso", bensì viverle veramente e consapevolmente nella loro condizione di oggetti determinati dalla storia e, quindi, mutanti e mutabili, e non e mai come verità monolitiche e insindacabili la cui creazione e manipolazione sembra sempre più oggetto per esperti e non patrimonio di ogni singolo vivente nella sua relazione con l'Altro e la sua comunità.

Questa inavvicinabilità della legge permea oggi gran parte del nostro tessuto sociale con una radicalità che pareva non più ammissibile dopo le conquiste democratiche dell'occidente. 

Quella "sfera pubblica" che per Jürgen Habermas è soggetto determinante affinché ogni cittadino non solo possa confrontarsi e farsi un'opinione ragionata sui problemi di interesse generale. ma anche, conseguentemente, motivarsi all'azione affinché ogni idea si concreti in costruttive e positive ricadute sociali; questa sfera pubblica ha smesso, per diverse e complesse ragioni, di esercitare la sua funzione rivitalizzante e si è ridotta a esigui brandelli aggregativi in cui s'incontrano e si scontrano interessi di varia natura il cui obiettivo è, per lo più, ottenere voti e consensi esercitando poi il controllo delle istituzioni che gravitano nell'altra sfera: quella politico-giuridico-amministrativa.

La polis, pur non impedendo direttamente la partecipazione ai suoi cittadini, ne ha ridotto notevolmente la potenza, annichilendo il senso profondo di questo partecipare.

"Diritto di Relazione" significa, invece, considerare ogni soggetto quale portatore di valori, idee, visioni, affinché emergano le diverse concezioni di un mondo non ridotto a un problema di ordine o legge, ma aperto alla possibilità del confronto e del cambiamento, dove una sfera pubblica, autonoma fin nei suoi singoli nuclei, possa contribuire ad una sempre maggiore differenziazione e ricchezza dell'agire umano..

to be continued...

Nessun commento:

Posta un commento